LA GNOSI E DANTE
ESOTERISMO
DEL "CONVIVIO"
Dedicato al V.
Maestro Spirituale Dante Alighieri,
nel 700°
anniversario della sua morte e resurrezione esoterica.
Riguardo l'opinione
che le opere di Dante rivelino la presenza di temi, immagini, figure, simboli appartenenti
o imparentati alla tipologia propria della Gnosi quale religione esoterica (che
ha sempre accompagnato, in forma più o meno esplicita, la religione essoterica)
posso aggiungere che da alcuni decenni le ricerche intorno alle dottrine
gnostiche, agli autori ed ai circoli che le hanno professate hanno ricevuto un
notevole impulso da parte di studiosi insigni quali il Puech, il Corbin, lo
Jonas, per non fare che qualche nome.
Insieme a nuove
conoscenze si è venuto determinando anche un nuovo clima ed una nuova
sensibilità, più propizie a cogliere influenze e corrispondenze, che mettono in
luce la vastità e la complessità della tradizione gnostica. Da parte nostra crediamo
che i progressi nello studio di quest'ultima e nella comprensione della sua
portata (che si va rivelando maggiore di quanto prima non si ritenesse) possano
contribuire anche alla migliore comprensione di Dante.
Abbiamo ritenuto di
procedere ad una verifica della nostra tesi misurandoci anzitutto con il
Convivio, opera che a nostro giudizio è tutt'altro che quel "centone
dottrinale" come ancora è generalmente creduto. Vediamo alcuni dati,
esempi e riflessioni:
Dante: “Si tratta del progetto che esige non
l'aggiustamento, non il miglioramento come del lato esterno come dello stato interiore,
ma la trasformazione radicale della natura umana". Questo è un
principio fondamentale della gnosi: tale trasformazione in Dante (nel quale
convergono le linee della saggezza elaborate dal mondo precristiano e dal mondo
cristiano) si è prospettata come esito dell'incontro tra l'aspirazione da parte
dell'uomo verso l'alto e il movimento discensivo da parte del divino.
Il Valli per quanto
riguarda l'origine del movimento Fedeli d'Amore ha accennato ad un’ipotesi che è
convalidata dalla conoscenza che abbiamo ormai della poesia persiana: dalla
Persia si origina tanto la corrente manichea che finisce nel movimento Albigese
(cosi legato alla poesia trovadorica), quanto il movimento mistico dei Sufi che
sviluppa le forme persiane della poesia d'amore mistico e che influenza i
Crociati (molti dei quali erano provenzali) ed i Templari (distrutti nel primo
decennio del secolo XIV perche accusati di dottrine segrete).
Il movimento
manicheo è così strettamente intrecciato ad una quantità d’idee di origine gnostica,
che molti considerano addirittura i manichei Albigesi come un gruppo gnostico.
Se si considera
bene il carattere di questa poesia d'amore esaltatrice della Sapienza santa,
della pura contemplazione che si identifica con l'Intelligenza divina sperimentata
in sé stessi, si vedrà per lo meno nella poesia del "dolce stil novo",
e particolarmente in quella di Guido Cavalcanti, il vivo senso dell'opposizione
dell'intelletto puro (contemplazione divina sperimentata) alla vita pratica.
Tutta questa poesia
è concentrata nell'idea che la beatitudine sia puramente contemplativa e la
Sapienza santa ricevuta per rivelazione interiore sia pura dottrina di verità.
Tutto questo ci
richiama al carattere fondamentale dello gnosticismo, il quale consisteva
appunto nel concepire il messaggio cristiano originale (fino al terzo secolo) e
la stessa redenzione di Cristo, soprattutto come rivelazione o vissuto intimo
diretto. Lo gnosticismo, ha questo di caratteristico: che considera il riscatto
umano effetto di una nuova conoscenza acquisita per esperienza diretta non con
la mente, ma la coscienza e concentra in questo tipo di conoscenza la forza
della salvazione. Questa considerazione non rende abbastanza palese che un
qualche ramo della multiforme tradizione gnostica si protenda verso il gruppo
dei " Fedeli d'Amore "?
La divina Beatrice
non può essere imparentata con quella Pistis Sofia della quale la gnosi cantava
il Canto nuziale?
“A ottenere il raptus mentis, a toccare i vertici della
"beata gioia", fuori dalle pratiche strettamente cristiane ". Cosi il Ricolfi, riprendendo motivi già svolti dal Perez,
conclude che "assai varie correnti e tradizioni mistiche, religiose,
filosofiche, talune ortodosse, tali altre eterodosse, vengono a incontrarsi
nella poesia del Duecento, in vario modo operando sui diversi poeti. Cosi la
dottrina della Donna-Sapienza o Donna-Intelligenza fa capo a due correnti
principali, l'una eterodossa e l'altra ortodossa: la prima, che da Aristotele
giunge ad Avempace, ad Avicenna e ad Averroe, attraverso lo gnosticismo e il
manicheismo; la seconda, che da Sant'Agostino giunge a San Bernardo e a quel
Riccardo di San Vittore, che è menzionato da Dante nell'epistola a Can Grande
come chiave per meglio intendere il raptus mentis, e dai suoi contemporanei definito
la colonna, la fiaccola, l'angelo della Scuola. Viene fatto anche un richiamo
alle dottrine gnostiche ed al mito centrale di Sophia, la Sapienza, a proposito
della quale l'autore annota: "Era,
in fondo, il problema buddistico del dolore; tanto il Buddismo quanto la Gnosi
indicano, per rimuoverne la causa, il sentiero della Conoscenza"
(intesa come conoscenza interna di sé stessi tramite la rivelazione con
l’Essere intimo superiore).
Ancora del
carattere gnostico dei Fedeli d'Amore - "Amore
concepito come potenza atta a far uscire lo spirito dal suo "albergo",
e farlo volar nudo senza scorza" - il Ricolfi vede una testimonianza
nella Vita Nuova; per esempio, là dove Dante dice: "Amore uccide tutti li miei spiriti, e li visivi rimangono in
vita, salvo che fuori de li strumenti loro. E questo dubbio è impossibile a
solvere a chi non fosse in simile grado fedele d'Amore ".

Da Julius Evola è
accettata sostanzialmente "la tesi già
prospettata dal Rossetti e dall'Aroux, ripresa dal Valli, in una certa misura
anche dal Ricolfi". La tesi cioè che Dante appartenesse alla cerchia
dei Fedeli d'Amore. Così pure accettata è la tesi che la cosiddetta poesia del "dolce stil novo", "in gran
parte usa un linguaggio segreto, intelligibile a pieno solo per gli iniziati
che ne avessero posseduto la chiave" (La metafisica del sesso).
Tuttavia, pur accordando che "le
varie donne cantate dai Fedeli d'Amore, qualunque fosse il loro nome, erano, è
vero, un'unica donna, immagine della " Sapienza Santa" o della Gnosi,
cioè di un principio di illuminazione, di salute e di conoscenza trascendente",
Evola pensa che non si trattasse solo di allegorie e di semplici astrazioni
personificate, ma che "qui avesse
parte essenziale un regime di contatti con la forza occulta della femminilità,
regime che poté‚ prendere eventualmente le mosse dall'amore suscitato da donne
reali, portandolo però ad agire e a svilupparsi lungo una direzione iniziatica,
un indirizzo verso il divino e non legato esclusivamente al corpo e le passioni".
In certi testi, fra cui la stessa Vita Nuova, è evidente il riferimento ad
intense esperienze vissute con effetti palingenetici. Carattere eminentemente
gnostico riguardo all’amore e il sesso.
Robert John nel suo
libro Studi su Dante e spunti di storia del cristianesimo, non esita a dichiarare
che "non è oggi più sostenibile
l'antica opinione, secondo la quale nella Commedia non si troverebbe nulla di
eretico". Di là dalla ricostruzione storica delle drammatiche vicende
che portarono alla distruzione dell'Ordine dei Templari, l'interesse principale
si appunta sulla delineazione della "gnosi
templare di Dante, che è stata la vera "Donna" del suo spirito fin
dagli anni della giovinezza". Quella gnosi templare che "non è solo la confluenza di diverse
correnti gnostiche provenienti dall'antichità pagana, dal cristianesimo
primitivo, dal giudaismo e dall'Islam; essa è una spiritualità determinata anche
dal neoplatonismo".
Antonio Coen (Dante
et le contenu initiatique le la Vita Nuova, Ed. J. Vitiano, Parigi, 1958) si
dimostra vicino al Valli nel ritenere che la lirica trovadorica, col suo " trobar cluz ", abbia
esercitato una sicura influenza sul linguaggio dei Fedeli d'Amore, che
costituivano una cerchia iniziatica e gerarchicamente organizzata. Dante stesso
lo fa intendere quando alla fine del cap. XIV della Vita Nuova dice che le sue
parole non possono essere comprese da "chi
non fosse in simile grado fedele d'Amore". La tesi principale del
Coen, che sviluppa un tema fornito prima dal Perez e poi seguito dal Pascoli e
dal Valli, è che Dante adepto di un gruppo iniziatico, nel suo anelare alla esperienza
diretta della Sapienza santa e dopo le tante ordalie della sua vita vissuta
iniziaticamente, abbia raggiunto, da vivo, la grazia di condividere le Verità
eterne, divenendo un vero Maestro Spirituale, un visionario vicino all'eresia,
uno gnostico a tutti gli effetti, appunto che Conosce.
Forse il Pascoli
stesso sarebbe andato ben oltre nella sua esegesi dell'opera dantesca se avesse
conosciuto la letteratura dell'antico gnosticismo. Pensiamo in particolare a
quel famoso frammento del Maestro Gnostico Valentino, che qui di seguito
riporto (E. Buonaiuti. Saggi sul cristianesimo primitivo): "Diceva Valentino ai suoi discepoli in un'omelia: "Voi siete
immortali fin da principio; voi siete figli della vita eterna; voi voleste
affrontare da voi la morte, affinché la morte fosse da voi debellata e in voi e
per voi la morte morisse. Ebbene: quando voi sconfiggete il mondo,
disgregandone gli elementi insidiatori, senza disgregare le energie del vostro
spirito, voi siete i signori della creazione e dominatori di ogni realtà
peritura" Sotto l'eloquio fiorito dell'eloquenza e della poesia, il
maestro esprime così un concetto che sarà sempre caro al movimento di cui egli
è uno dei più eminenti iniziatori: il concetto dell'immortalità come frutto di
una esperienza religiosa superiore, di cui la gnosi è il più valido
coefficiente “.
L'argomento
dell'opera - ci viene detto - è la filosofia. Ma qual è propriamente il senso
da dare a tale parola? Che cosa simboleggia la "gloriosa donna"? Dobbiamo
intendere alla lettera tutto ciò che l'autore ci dice di essa? O possiamo anche
intenderlo come il travestimento di qualcos'altro?
Intanto l'autore
stesso, volendoci "mostrare come
mangiare si dee" (II, I, 1) quel "pane degli angeli" (I, I, 7)
ci avverte che le scritture si possono intendere per diversi sensi.
Più avanti ci farà
notare che nella Filosofia entrano due componenti: Amore e Sapienza (Sophia); e
trattandone, come vedremo, ci farà chiaramente intendere che non è tanto ad una
scienza puramente umana che egli si riferisce, ma ad una Conoscenza che si
origina dall'alto.
Viene quindi presto
il sospetto che il termine stesso di Filosofia sia uno schermo destinato a
velare il riferimento a qualcos’altro, che ha attinenza alle cose della
religione più che ad astrazioni intellettuali.
Noi mettiamo come
ipotesi che la "scienza", di cui subito si comincia a parlare, non
sia il sapere dei dotti, ma la Conoscenza salvifica, la Gnosi, perciò anticipiamo
le seguenti corrispondenze:
Scienza vera =
Gnosi; studio = iniziazione; gente studiosa = iniziati e questi ultimi sono i
pochi che "all’abito da tutti
desiderato possono pervenire", mentre innumerevoli sono quelli che
rimangono esclusi dall'accesso alla Conoscenza (I, I, 6).
Chiamando questa
Conoscenza "pane degli angeli" già
a prima vista appare un po' troppo enfatica siffatta qualificazione per la Filosofia
comunemente intesa e quale sia la sua vera natura ce lo può chiarire un luogo
del Paradiso dove la medesima espressione ritorna quando il poeta prende le
distanze da coloro che sono "in
piccioletta barca" e si rivolge a quei "pochi che drizzaste il collo / per tempo al pan degli angeli"
(II, 1-15).
Di questo pane è
detto che "vivesi qui"- in
Paradiso. Ebbene, non pare che nel
Paradiso si viva di dottrine filosofiche, ma piuttosto della visione beatifica
della luce divina; saremo quindi sulla buona strada se pensassimo a quel pane
che discende dal cielo e che dà la vita, come è detto nel Vangelo di Giovanni (VI,
32-35).
La dottrina che espone
il passo del Convivio: "Ancora,
vedemo continua esperienza de la nostra immortalitade né le divinazioni de'
nostri sogni, le quali essere non potrebbono se noi in alcuna parte immortale
non fosse; con ciò sia cosa che immortale convegna essere lo rivelante, o
corporeo o incorporeo che sia, se bene si pensa sottilmente - e dico
"corporeo o incorporeo",
per le diverse oppinioni ch'io truovo di ciò -, e quello ch'è mosso o vero
informato da informatore immediato debba proporzione avere a lo informatore, e
da lo mortale a lo immortale nulla sia proporzione", appare bene
rientrare nel quadro delineato nel Documento finale del Colloquio di Messina
sulle origini dello gnosticismo, 13-18 aprile 1966: "Lo gnosticismo delle sette del II sec. implica una serie coerente
di caratteristiche che si possono riassumere nella concezione della presenza
nell'uomo di una scintilla divina, che proviene dal mondo divino, che è caduta
in questo mondo sottomesso al destino, alla nascita e alla morte, e che deve
essere risvegliata dalla controparte divina del suo Essere interiore per essere
finalmente reintegrata... non ogni gnosi è lo gnosticismo, ma solo quello che
implica, nel senso sopra chiarito, l'idea della connaturalità divina della
scintilla che deve essere rianimata e reintegrata: questa gnosi dello
gnosticismo implica l'identità divina del conoscente (lo gnostico), del
conosciuto (la sostanza divina del suo Essere trascendente) e del mezzo per cui
egli conosce (la gnosi come facoltà divina implicita che deve essere
risvegliata e attuata)".
Per la messa in
luce della vera gnosi anche nella mistica islamica, si può rinviare ai lavori
di H. Corbin. Nel commentare, per esempio, la dottrina e l'esperienza del
maestro del sufismo Najm Kobra, lo studioso ne sottolinea il principio che le
sottende: il simile tende a
ricongiungersi al simile: quel che è cercato è l'Essere divino e chi cerca è
egli stesso una luce che da lui proviene, una particella della sua luce … e
questo è nel cuore stesso della concezione gnostica e ne governa tutti gli
sviluppi. Un altro insigne studioso della Gnosi, il Festugière, ritrova questo
principio già realizzato in Platone (definito come il primo gnostico) e annota "Il fine immediato della gnosi è, come
dice il nome, di conoscere. Lo gnostico cerca di conoscere Dio. Poiché non è
possibile conoscere Dio che in virtù di una somiglianza tra chi conosce e
l'oggetto conosciuto, lo gnostico percepisce, ad un tempo, in sé stesso la
facoltà di conoscenza, che questa facoltà è il suo fondo più intimo, il suo Essere,
e che infine se essa attinge Dio, è perché ‚ gli è simile. Per cui, egli si
rivela a sé stesso come imparentato a Dio, parte di Dio Ciò che vi è di più alto
in lui, nous, logos o pneuma, è qualcosa di divino. Di conseguenza, così
imparentato a Dio, poiché questo Dio è essenzialmente felice e immortale, quel
che in lui conosce Dio è anche destinato all'immortalità beata".
La frase di Plotino
morente riassume bene lo spirito gnostico:
"Mi sforzo di fare risalire quel che c'è di divino in me a quel che vi è
di divino nel Tutto ". Diversamente, nelle religioni essoteriche,
l'uomo non può essere salvato che per un soccorso esterno, ma qui la
rivelazione è indispensabile e non meno la grazia trasformatrice e deificante.
Questa grazia divina si manifesta anzitutto nell'ordine della conoscenza.
Oltrepassando il piano puramente intellettuale, si entra nel piano della gnosi,
che è una conoscenza diretta per rivelazione spirituale. “Dopo la morte lo gnostico risale verso Dio, e oltrepassa tutti gli spazi
al di sotto e al di sopra, per raggiungere, nella regione ipercosmica, il
Principio supremo, prima di riunirsi all'Uno. Ma questo esito non è possibile,
se non sia stato preceduto, durante la vita, da una preparazione che ha il suo punto
alto, in un fenomeno mistico che da all'iniziato, con la certezza della sua
salvezza, una conoscenza sperimentale del suo stato di "divinizzato",
e come un'anticipazione della felicità di cui godrà dopo la morte". Cosi
insegnano Porfirio, Giamblico, Proclo, ecc.
A chi dovesse
obiettare che, in mancanza di altri dati documentali, gli accostamenti sui
rapporti con questa o quella forma storica di gnosticismo da noi suggeriti
restano senza fondamento, vorremmo osservare che in una materia come questa ha
il suo valore anche l’ermetismo messo in pratica. Ricordo che abbiamo a che fare,
nel caso di Dante, con autori che espressamente dichiarano di voler celare la
loro " sentenza " sotto il velo allegorico. Teniamo anche presente come
ancora sia aperto il dibattito, che ha visto confrontarsi studiosi eminenti,
sulla filiazione tra bogomilismo e paulicianesimo, tra bogomilismo e catarismo,
tra catarismo e manicheismo, tra manicheismo e antico gnosticismo. Per esempio,
il Puech ritiene indubbia l'influenza del bogomilismo sul catarismo, ma avanza
le sue riserve sulla filiazione di quest'ultimo dal manicheismo e più ancora
dall'antico gnosticismo come invece è incline a pensare Hans Soderberg eppure il
Puech riconosce che il catarismo è apparentabile, in un certo senso, ad una
gnosi.
Ora noi, per
l'appunto, nella nostra indagine abbiamo mirato a mettere in evidenza quanto in
Dante fosse apparentabile ad una gnosi e non a tentare di stabilire derivazioni
storicamente documentabili. Obiettivamente la nebulosa gnostica si presenta ai
ricercatori come un universo complesso e in movimento, dai contorni non ben
definiti, riluttante ad organizzarsi in sistemi chiusi, continuamente
sollecitata e arricchita dall'apporto di creatività individuali ed i cui
cammini sono difficili a seguirsi in tutti i suoi meandri. Essa testimonia la
sua presenza in un'area vastissima che va dalla regione mesopotamica alla
Spagna islamica inoltre, per quanto riguarda l'Occidente cristianizzato, essa
ha conosciuto un intreccio di rapporti scambievoli con gli elementi della fede
cristiana in un continuo dinamismo di adattamenti. Per esempio, i Catari,
nell'opinione di Lucie Varga (che mette in questione la loro filiazione dai
Manichei) sono "le dernier rejeton
de la dernière pousse d'un gnosticisme vangelis".
In effetti, il tema
di ricerca che secondo noi si prospetta e che potrebbe - una volta che fosse
approfondito abbastanza - rinnovare l'esegesi dell'opera di Dante, è quello dei
prolungamenti della Gnosi antica nel Medio Evo latino. Quello che ci sembra molto
auspicabile sarebbe un lavoro di indagine analogo a quello intrapreso da Henry
Corbin per mettere in luce i rapporti intercorrenti tra la Gnosi antica e la
Gnosi sciita, e in particolare ismaelita. I risultati di un tale lavoro
potrebbero portare a scoprire come, tramite i circoli gnostici perpetuatisi
nell'Occidente latino, l'influenza della Gnosi antica possa essere giunta fino
a Dante; non solo, potrebbero dare consistenza ai contatti tra gnostici
occidentali e gnostici ismaeliti. Il Corbin così, si esprime in proposito: “Per il momento non possiamo che auspicare,
anche per quanto riguarda il legame intercorrente tra la Gnosi antica e quella
dei circoli dell'Occidente latino, fino a quei Fedeli d'Amore che Dante dovette
frequentare, che si giunga forse anche a dimostrare con più documenti un giorno
la filiazione da una Gnosi all'altra".
Riguardo il tema
che ci interessa - Dante e la Gnosi - non ci si può, per il momento, che
limitare a rilevare indizi, tracce, affinità nei simboli e nelle strutture.
Troviamo, inoltre, nel saggio del Corbin certe considerazioni che vogliamo
riportare perché meritano di essere tenute presenti ai fini che ci proponiamo.
Anzitutto, sul carattere proprio alla Gnosi in genere: "Resta il fatto che ci troviamo certamente in presenza di una
Gnosi, cioè di un insegnamento che non mira ad un mero sapere, di un modo di
conoscenza che non è un semplice atto di conoscere. Non è un insegnamento di
massa, è un insegnamento iniziatico trasmesso a ciascun adepto; è una conoscenza
esoterica, una conoscenza di Verità, che produce in quanto tale una nuova
nascita, una metamorfosi, la salvezza dell'anima". Queste
caratteristiche concordano con i significati riposti che abbiamo cercato di
mettere allo scoperto lungo tutto il corso della nostra lettura del Convivio.
Secondo la nostra
tesi anche Dante assume i dati letterali della religione per ricondurli al
piano della Verità spirituale o esperienza diretta con la coscienza perciò
riteniamo di poter adottare, anche per l’esegesi dantesca sui dati della
Rivelazione cristiana, il giudizio che il Corbin dà: "Attraverso questa esegesi la Gnosi antica sui dati cristiani;
opera una trasmutazione di tutti questi dati, avvenimenti e persone, in
simboli. Così facendo, opera una trasmutazione dell'anima, la sua resurrezione,
e riveste perciò il carattere fondamentale che lo apparenta alle altre forme
della Gnosi espressa nei secoli fino quella contemporanea”.
La Nuova
Accademia Gnostica S.A.W. di Firenze
www.gnosifirenze.blogspot.com